“il problema non è cosa penso ma quanto ci rimugino sopra”
Tutti abbiamo esperienza di rimuginio. In termini tecnici è considerato uno stile di pensiero negativo, analitico, negativo, ripetitivo che negli ultimi decenni ha mostrato di avere un impatto fondamentale nel sostenere molti disturbi psicologici. È il cuore pulsante di molti disturbi d’ansia e della depressione.
Rimuginare significa preoccuparsi delle cose negative che possono accadere ma anche riflettere continuamente sui propri errori, sulle cause, sulle implicazioni, su ciò che desideriamo e non abbiamo, sulle ingiustizie subite, sul nostro malessere, la nostra sfortuna, ciò che non ci va a genio di noi stessi e degli altri.
Il rimuginio cattura la nostra attenzione. Ci chiude nella mente. Ci isola nei pensieri e lontano da ciò che ci circonda. Ci assorbe e tiene salienti per noi informazioni e contenuti spiacevoli. Il rimuginio impedisce di dimenticare. Il rimuginio impedisce di andare oltre un brutto pensiero o una sensazione spiacevole. Soprattutto quando i pazienti faticano a smettere di rimuginare una volta che iniziano.
Da dieci anni ormai mi occupo di rimuginio, come ricercatore e come clinico. Si è trattato di un lungo viaggio nato dapprima come naturale curiosità: “Perché le persone restano a pensare così a lungo su ciò che fa loro male? Cosa li spinge a questo macabro sodalizio con una prigione di pensieri ricorrenti e astratti?”.
La mia fortuna è stata quella di aver conosciuto a maestri e colleghi come Sandra Sassaroli, Giovanni Ruggiero, Marcantonio Spada e Adrian Wells con i quali ho condiviso un lungo viaggio di scoperta delle caratteristiche del rimuginio, delle sue facce variegate e soprattutto dei meccanismi psicologici che lo accendono e lo mantengono attivo nel tempo.
Questo testo vede la luce dopo un lungo lavoro di ricerca e ricapitola i risultati teorici, empirici e clinici della letteratura internazionale e del percorso sperimentale di noi autori. Abbiamo voluto offrire nelle sue sezioni sia un impianto teorico chiaro ed esaustivo sui processi cognitivi di base e sul sistema di conoscenze implicita che li sorregge e che noi chiamiamo meta cognizione, e su tecniche e strategie che i colleghi terapeuti possono adottare per mutare il modo in cui controlliamo il nostro funzionamento mentale.
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Crolla
nel lago un sasso e quieto
seduce e concupisce
la macchina, mia.
Cresce
in catene di lettere intrise
che senza governo
paiono onde di fuoco.
Sì tra l’acqua
scossa guardo
più forte
e non vedo
più me.